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Storia del Beatmaking

La nascita del Beatmaking risale agli anni ’70, con la diffusione dei Block party nel Bronx a New York. Inizialmente gli strumenti usati erano due giradischi e un mixer, con i quali i dj’s creavano dei loops.

Negli anni ’80 con la nascita delle Drum Machines, in particolare la Roland TR-808, cambia la concezione del beatmaking: con queste era possibile creare delle sequenze personalizzate usando i suoni sintetizzati presenti nella Drum Machine. Afrika Bambaataa, con Planet Rock, fu il primo ad intuirne le potenzialità e miscelando i suoni ritmici della 808 ai campionamenti funk, creò quello che viene chiamato Electro Funk.

Nel 1988, dalla collaborazione tra l’azienda giapponese Akai e il genio di Roger Lynn (già creatore di sequencers e drum machines), nasce il campionatore Akai MPC 60: si tratta di un vero e proprio strumento musicale, dotati di 16 Pad sensibili al tocco, con cui si possono registrare suoni da fonti esterne (si diffonde il campionamento dal vinile), tagliarli e modificarli, e utilizzarli per programmare pattern e sequenze musicali. Lynn introdusse inoltre la funziona swing, un leggero sfasamento temporale che rendeva il groove più incalzante e scorrevole.

Con la nascita dei programmi con cui realizzare musica su computer, Pro Tools e Cubase furono i primi, l’avvento della musica rap nella cultura popolare e le battaglie legali sull’utilizzo dei samples, l’arte del beatmaking vede ulteriori sviluppi, affiancando al classico campionamento la registrazione di strumenti veri o la sintesi del suono tramite computer.

Oggi l’evoluzione dei software musicali (DAW, Digital Audio Workstation) ha preso il sopravvento, ma resta ampio l’utilizzo di giradischi, campionatori e drum machine, soprattutto nei producer che prediligono un suono analogico.

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